Anoressia e bulimia

«Anoressia» è un termine medico che indica la perdita dell'appetito, fenomeno che si osserva in molte malattie come infezioni, tumori, melanconia. «Anoressia nervosa» è il nome di una sindrome psichiatrica che ricalca l'espressione inglese anorexia nervosa introdotta da W. Gull nel 1874. In Italia, fino agli anni '70 del '900, i medesimi quadri clinici erano chiamati «anoressia mentale», sulla linea della psichiatria francese che usa ancora anorexie mentale. Nell'anoressia nervosa non c'è anoressia ma, al contrario, strenua lotta contro la fame. Anche «bulimia» è un termine medico, il cui significato etimologico è quello di una fame «da bue», enorme, smisurata. «Bulimia nervosa» è il nome con il quale, nel 1979, G. Russell propose di battezzare una variante dell'anoressia nervosa, dominata non da una semplice esagerazione del senso di fame ma da un rapporto di tipo tossicomane con l'oggetto-cibo. Anche in questo caso l'uso del termine non coincide con il significato originario.

Il quadro dell'anoressia nervosa si compone intorno a tre sintomi nucleari: paura morbosa d'ingrassare, perdita di peso e amenorrea. Tre sintomi caratterizzano anche la bulimia nervosa: attenzione morbosa al peso e alle forme del corpo, attacchi parossistici e incontrollabili d'ingordigia, pratiche di compenso per evitare d'ingrassare; rispetto all'anoressia il peso corporeo è più elevato e il ciclo mestruale è presente. I due maggiori sistemi di classificazione, il DSM-IV-TR e l'ICD-I0, elencano nei dettagli i sintomi necessari per le due diagnosi. I criteri sono sostanzialmente sovrapponibili. Il DSM distingue due tipi di anoressia: «restrittivo», quando il peso è controllato mangiando pochissimo; «bulimico», quando l'alimentazione è contrastata provocandosi il vomito o abusando di lassativi. Anche per la bulimia il DSM distingue due tipi: «con pratiche di svuotamento» (ingl. purging), quando le contromisure sono il vomito autoindotto e l'abuso o l'uso improprio di lassativi, diuretici, clisteri o altri farmaci; «senza pratiche di svuotamento» (ingl. non purging), quando il compenso è affidato al digiuno e/o all'esercizio fisico compulsivo. Anoressia e bulimia sono due sindromi che la nosografia psichiatrica recente, a partire dal 1980, tiene distinte: i criteri sono stati scelti in modo tale che la diagnosi di stato può essere solo l'una o l'altra. Il sintomo principale di distinzione è l'amenorrea, da almeno tre mesi. Anoressia e bulimia condividono però molti caratteri ed è frequente che la stessa persona passi, in momenti diversi della vita, dall'uno all'altro disturbo: soprattutto, dall'anoressia alla bulimia. Le sindromi parziali o atipiche, quadri clinici in cui si ritrovano alcuni ma non tutti i sintomi necessari per la diagnosi di anoressia o di bulimia, costituiscono poi il vasto e mal definito campo dei «disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati». Fra i quadri atipici, il disturbo di alimentazione incontrollata (binge eating disorder, abbuffate compulsive frequenti senza contromisure di compenso) ha suscitato nell'ultimo decennio un interesse crescente per i suoi legami con l'obesità. Il sintomo dell'abbuffata compulsiva attraversa dunque l'intera area dei disturbi dell'alimentazione e tutto lo spettro dei pesi corporei. Scheletrici soggetti anoressici e grandi obesi possono descrivere lo stesso tipo di bramosia per il cibo, parossistica, incontenibile e conflittuale.

Reverse anorexia nervosa o muscle dysmorphia (dismorfismo muscolare) è l'espressione con la quale, da alcuni anni, psichiatri di lingua inglese indicano la condizione di giovani ossessionati dal bisogno di sviluppare la propria muscolatura. Come una ragazza affetta da anoressia nervosa sostiene di sentirsi grassa pur apparendo scheletrica, così un giovane affetto da anoressia nervosa a rovescio dichiara di aver paura di apparire gracile e mingherlino malgrado i suoi muscoli. Anche in questi casi si osservano disturbi dell'alimentazione (iperproteica) e abuso di sostanze (steroidi anabolizzanti). La medicina è stata attenta fin dalle origini agli effetti buoni e cattivi per la salute dei regimi alimentari, ma si è interessata alla psicopatologia del rapporto uomo/cibo solo in epoche piuttosto recenti. La prima descrizione medica dell'anoressia nervosa come malattia specifica risale probabilmente al XVII secolo. Il medico inglese R. Morton pubblicò nel 1689 in latino e nel 1694 in inglese le sue osservazioni cliniche intorno a due casi di una malattia che chiamò «tisi nervosa». I caratteri erano profondamente diversi rispetto a quelli osservati in altre forme di consunzione (phthisis) e somigliavano all'anoressia nervosa dei nostri giorni. Un altro inglese, Gull, nel r868 accennò fugacemente a una strana malattia che colpiva soprattutto giovani donne e che chiamò apepsia hysterica. Nell'aprile del 1873 il clinico parigino E.-Ch. Lasègue pubblicò un articolo sull'anorexie hystérique. E nel 1874 ancora Gull pubblicò un lavoro in cui parlava diffusamente di un caso di quella stessa affezione con esito fatale e di altri tre seguiti con successo. In quello scritto ribattezzò la malattia anorexia e preferì definirla nervosa piuttosto che hysterica perché il disturbo si presentava sia nei maschi che nelle femmine e sembrava di natura centrale (l'isteria era considerata un'affezione femminile con partenza da organi del corpo periferici rispetto al sistema nervoso centrale). Nel '900, a partire dalle idee del patologo tedesco M. Simmonds, l'anoressia nervosa è stata confusa per circa trent'anni con una, malattia endocrinologica, la cachessia ipofisaria. Solo negli anni '40 ha recuperato il suo statuto psicopatologico. Il Congresso di Gottinga del 1965 confermò la validità del concetto di anoressia nervosa come sindrome autonoma e il carattere psicopatologico del disturbo.

In quegli anni studiosi come H. Bruch negli Stati Uniti, M. Selvini Palazzoli in Italia, E. e J. Kestemberg in Francia offrirono contributi pionieristici alla comprensione delle alterazioni dell'immagine del corpo, della fragilità della stima di sé, della patologia del desiderio, delle disfunzioni del sistema familiare nelle ragazze affette da anoressia.

L'anoressia nervosa, dunque, è una sindrome individuata dai medici da almeno tre secoli. La bulimia nervosa, invece, è un quadro clinico proposto alla comunità scientifica come diagnosi autonoma solo a partire dal 1979, anno in cui lo psichiatra inglese G. Russell pubblicò un articolo destinato a diventare un riferimento classico. In realtà, la prima descrizione medica di casi che oggi definiremmo di bulimia nervosa è più antica, ed è contenuta in un saggio presentato alla Società psicoanalitica tedesca il 12 aprile 1932 dal dottor M. Wulff. Il lavoro descriveva quattro donne nelle quali crisi di ingordigia incontrollabile erano associate a pratiche di compenso per evitare d'ingrassare: fasi di digiuno ostinato o abitudine di provocarsi il vomito dopo ogni crisi bulimica. Wulff sottolineò acutamente le profonde affinità di questo complesso sintomatico orale con la tossicodipendenza. Se rileggiamo i vecchi casi di tisi nervosa di Morton o quelli, più vicini a noi, di Gull, di Lasègue o di J.-M. Charcot possiamo rintracciare tutti i sintomi maggiori dell'anoressia nervosa dei nostri giorni salvo la paura morbosa d'ingrassare, la distorsione dell'immagine del corpo, il senso di enormità. La prima storia clinica in cui figura questo dato è probabilmente il caso di Nadia, una ragazza con sintomi anoressici descritta da P. Janet (1908) come ossessione della vergogna del corpo. Un sentimento

tormentoso di estraneità e disagio per il proprio corpo femminile adulto, sessuato, dominava anche Ellen West, protagonista di un caso famoso di L. Binswanger descritto in tre successivi articoli pubblicati fra il 1944 e il 1945. E per quanto riguarda le pazienti bulimiche di Wulff, una riferiva un grande timore di ingrassare e altre due provavano un disgusto profondo per il loro corpo. Sembra che solo nel Novecento le condotte alimentari si siano legate ai problemi d'immagine del corpo. Su questa linea, a partire dal DSM-III (1980), la nosografia psichiatrica contemporanea considera le distorsioni, le sopravvalutazioni e i disturbi in genere dell'immagine del corpo un sintomo nucleare indispensabile sia alla diagnosi di anoressia nervosa che a quella di bulimia nervosa. I disturbi dell'alimentazione rappresentano un problema grave e diffuso soprattutto tra le adolescenti e le giovani donne. Il rapporto tra casi femminili e maschili è 10:1 per l'anoressia e 20:1 per la bulimia. Nei paesi industrializzati, tra le giovani, la prevalenza della bulimia (1%) è maggiore di quella dell'anoressia (0,3%). L'anoressia prediligeva in passato le classi sociali medio-alte. Negli ultimi due decenni anoressie e bulimie si sono equamente diffuse nei vari strati sociali. L'età d'esordio cade per lo più fra i 13 e i 25 anni. Sono descritte rare forme precoci, a partire dai 7-8 anni, e rarissime tardive, successive alla menopausa. Le manifestazioni cliniche sono cambiate: negli anni '60 i quadri più comuni erano le anoressie restrittive, nei decenni successivi sono diventate sempre più frequenti le forme bulimiche. Anoressia e bulimia sono disturbi tipici dei paesi industrializzati. Sono molto rare nei paesi poveri, dove la loro incidenza (come quella dell'obesità) sale insieme allo sviluppo economico e all'occidentalizzazione della cultura.

Il trattamento è multidimensionale. I casi più gravi devono essere ricoverati; gli interventi principali sono psicologici: psicoanalisi e psicoterapie individuali, familiari e di gruppo. L'ente americano Food and Drug Administration ha approvato l'uso della fluoxetina per la bulimia nervosa (1997), della sibutramina 1998) e dell'orlistat (1999) per l'obesità. In Italia le tre molecole sono in commercio con le stesse indicazioni. Nessun farmaco ha l'anoressia nervosa tra le sue indicazioni ufficiali. Lasègue e Janet sostenevano che è raro che un'anoressia duri meno di due anni. Oggi sappiamo che i sintomi tendono a persistere per molti anni in oltre un terzo dei casi. La mortalità è elevata. Per l'anoressia si calcola un tasso di mortalità per annum pari allo 0,5696, dodici volte il tasso di mortalità atteso per la stessa fascia d'età. La remissione completa e stabile dei sintomi avviene nella metà dei casi. Il miglioramento delle condizioni psichiche è più lento e difficile di quello somatico.

MASSIMO CUZZOLARO